Foto © Lino Brunetti

In Concert

Still Corners live a Milano, 29/5/2024

L’intensa stagione concertistica dell’Arci Bellezza di Milano sta andando a chiudersi (lo farà il 7 giugno con lo spettacolo dell’ex Bad Seeds Mick Harvey, per poi riprendere a metà settembre), anche perché d’ora in avanti assistere a concerti indoor sarà faccenda assai meno sostenibile fisicamente, nonostante la bella stagione stenti a decollare.

Rovente e sudatissima l’aria la sera del 29 maggio, ad esempio, complice anche il sold out conquistato dai londinesi Still Corners in questo loro nuovo passaggio milanese, a poco più di due anni di distanza dall’ultima volta. Il duo formato dalla cantante e tastierista Tessa Murray e dal chitarrista e produttore d’origini americane Greg Hughes, qui accompagnati dal loro usuale batterista live, ha nel frattempo pubblicato un nuovo album, Dream Talk, disco che fin dal titolo inquadra quelli che sono i suoi contenuti musicali e il mondo attorno al quale ruota la musica della band.

A salire sul palco prima di loro, la musicista, chitarrista e singer songwriter belga Annelies Van Dinter, in arte Echo Beatty. Devo ammettere che non la conoscevo, nonostante sia in giro da una decina d’anni e abbia nel carniere tre album e un paio di EP. Così a primo ascolto mi ha colpito molto favorevolmente con le sue canzoni malinconiche e intrise di passione, suonate per sola voce e chitarra, al più sottolineate dal battito di una drum machine e da qualche ulteriore, minimale orpello pilotato da una pedaliera. Poco più di mezz’ora di performance che mi hanno fatto per l’ennesima volta riflettere sul fatto che in giro c’è una quantità enorme di buona musica, molta, ma molta di più di quanto uno possa immaginare di poter accogliere.

Elegantissimi, gli Still Corners arrivano sul palco puntuali all’orario annunciato e attaccano subito con la circuente Strange Pleasures che dava il titolo all’omonimo album del 2013. La voce di Tessa è sempre assolutamente perfetta, accordata in maniera del tutto naturale al mood sognante e onirico delle melodie, in canzoni che in larga parte proprio su di esse si appoggiano. I ritmi assai difficilmente si fanno concitati, finendo col sottolineare il mix di chitarra e tastiere nelle quali la voce si accoccola.

Hughes è un chitarrista dal tocco classico, elegante, quasi sempre limpido e pulito, bravo nel dare corpo a canzoni che come feeling non si discostano poi molto da alcune pagine pop rock eighties. Come segnalavo già l’altra volta, è giusto l’ampio ricorso a delle basi per riempire il suono a far arricciare almeno un po’ il naso: le parti di chitarra che si sentono sono maggiori rispetto a quelle suonate dal chitarrista e il basso pulsa senza che ci sia un bassista a suonarlo sul palco. Forse perché stavolta me l’aspettavo, o forse perché stavolta mi sono sembrati mediamente più coinvolti, Murray soprattutto, ma in quest’occasione la cose mi è pesata comunque meno, l’ho trovata meno invasiva.

Pur fedeli all’estetica dei dischi, li ho trovati più fascinosi, meno didascalici anche, capaci inoltre di lasciarsi andare in una Far Rider dalla lunga coda strumentale o in una The Trip capace di tenere fede al suo titolo in maniera assai convincente. I pezzi del nuovo disco ben si sono amalgamati alle cose più vecchie, esplicitando la sostanziale personalità del sound della band, non troppo propenso allo staccarsi eccessivamente da quello che è un solco già tracciato.

Alla fine è l’abilità nello scrivere ottime canzoni a renderceli cari e brani come The Dream, Sad Movies o la The Ship fuori scaletta suonata nel bis, presentata da Murray come la sua canzone preferita del nuovo album, sono un buon esempio esplicativo. Davvero piacevoli.

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