Foto: Lino Brunetti

In Concert

TaxiWars live a Milano, 2/11/2019

La maggior parte degli ascoltatori conosce Tom Barman soprattutto come leader e frontman dei dEUS, ma già da qualche anno il musicista belga fa parte di una nuova formazione che giusto pochi mesi fa è arrivata al traguardo del terzo disco. Coi TaxiWars, una band dall’identità propria e una forza musicale tale da spazzare via il sospetto che possa trattarsi di un mero side-project fatto per divertirsi e basta, Barman riaccende la passione in fondo mai sopita per il jazz, intuibile da alcuni passaggi presenti nei primissimi dischi della sua formazione più nota e dalla curatela di un paio di antologie per l’appunto incentrate sul jazz.

Inserita nell’ampia e ricchissima programmazione del JazzMI – vi invitiamo come sempre a fare un giro sul loro sito per farvi un’idea di ciò che potrebbe interessarvi vedere (ci sono anche moltissimi appuntamenti gratuiti) – la performance dei TaxiWars al Santeria Toscana 31 di Milano ha confermato anche in sede live le buone impressioni che i dischi ci avevano dato. L’ultimo, ottimo Artificial Horizon ha, rispetto ai precedenti, un approccio un po’ più pop e meno sperimentale alla materia, offrendo una musica per molti versi più contaminata, pulsante, in linea con alcune tendenze che si stanno vedendo ormai da qualche tempo nel panorama jazzistico internazionale e che, proprio attraverso la contaminazione più sfrenata, stanno rimettendo il genere tra le musiche che più contano, facendolo risultare inoltre esaltante e del tutto calato nella contemporaneità (oltre che appetibile per un pubblico numeroso).

La stessa impressione che abbiamo avuto assistendo al concerto dei TaxiWars del resto, i quali si sono dimostrati abilissimi nel mantenere salda la barra sul loro evidente retroterra classicamente jazz, ma non hanno mancato di sporcare il tutto con un ritmo pulsante che induceva al ballo, con qualche passaggio che non poteva non far pensare a un’influenza hip-hop, con serrati fraseggi di sax assassini, degni contraltari dei riff di chitarra in ambito rock e che, in più di un’occasione, pur con le differenze di stile, potevano ricordare il lavoro analogo fatto dal comunque più avventuroso Shabaka Hutchings.

Barman, che solo qualche giorno prima aveva costretto la band a cancellare uno show per problemi alla voce, pare essersi ripreso (quasi) del tutto e si conferma anche in questo frangente un grande animale da palco. Non solo canta, suonicchia una tasteria e armeggia su una scatoletta che gli mette degli effetti sulla voce, ma si esibisce anche in danze scatenate, dà la carica ai suoi compagni agitandosi come un ossesso e ovviamente si prodiga nel fare in modo che il pubblico senta tutta l’energia che arriva dal palco. In un’occasione, prima di una ballata, il pubblico lo cazzia anche, per colpa di quei presenzialisti che pagano un biglietto per andare ai concerti a chiacchierare tutto il tempo, fregandosene che sul palco ci siano dei musicisti a suonare. Una piaga che ormai pare indebellabile.

Ma i TaxiWars non solo sono Barman, che ben adempie al suo ruolo di frontman, ma sono il risultato di quattro personalità che unendosi vanno forse oltre la sommatoria delle parti. Gli altri tre sono tutti musicisti di livello eccelso, a partire dal sassofonista Robin Verheyen, a suo agio sia al tenore che al soprano, capace coi suoi fraseggi sia di risvegliare l’epoca gloriosa dei Pharoah Sanders o degli Albert Ayler ma, come dicevamo, d’imprimere al suo suono anche quella necessaria stilizzazione urbana da farlo considerare in tutto e per tutto un’emanazione sonora della nostra contemporaneità. Quando non soffia nelle ance si siede al piano o alle tastiere per aggiungere ulteriore colore. Il motore che dà la spinta e muove tutto arriva però dal funambolico lavoro della sezione ritmica, dal contrabbasso swingante di Nicolas Thys e dalla batteria del giovane Antoine Pierre, uno capace di leggerezza e vigore in egual misura e allo stesso grado di raffinatezza.

È stata un’ora e mezza di concerto divertente e altamente godibile, col pubblico numeroso che ha risposto con calore e un repertorio in larga parte basato sull’ultimo album, ma che non ha mancato di fare qualche puntatina sui pezzi dei due dischi precedenti. Soprattutto si è colto tutto l’entusiasmo di una band contenta di stare sul palco e di diffondere good vibrations evidentemente contagiose. Insomma, davvero una bella serata. Date un ascolto ai loro dischi se non l’avete già fatto.

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