TERRY LEE HALE
Bound, Chained, Fettered
Glitterhouse
***1/2
Sempre stato in qualche modo una mosca bianca Terry Lee Hale, fin dai tempi degli esordi discografici in quella Seattle primi anni ’90, ancora permeata di grunge – lui, texano, all’epoca aveva però già diversi anni d’attività alle spalle, poi testimoniati da dischi come The Wilderness Years o Home Grown – fino all’inclusione nella compilation Sub Pop 200, in qualità di unico cantautore. Insomma, un outsider, uno che anche in un ambito, a volte tendente all’omologazione, come quello roots e Americana, ha saputo sempre trovare una propria via, un modo per far si che la sua voce risultasse autentica e personale.
Non fa eccezione il nuovo Bound, Chained, Fettered, che anzi possiamo tranquillamente considerare come uno dei lavori più riusciti della sua carriera, come uno dei punti più alti di una discografia copiosa ed eccellente. Da tempo residente in Francia, a Marsiglia, Terry Lee ha trovato in Italia i giusti partner con cui realizzare il nuovo lavoro, facendosi produrre e accompagnare da musicisti del giro Sacri Cuori. Scelta che non possiamo che ritenere azzeccata, vista la brillantezza del sound e il calore delle musiche di cui queste nuove nove canzoni sono fatte.
Le trame sonore sono minimali ma mai tirate via; semplicemente lasciano il giusto spazio alla voce di Hale, la quale è giustamente al centro della scena. Gli strumenti accompagnano le parole dei testi sottolineandole, valorizzandole, orchestrando un substrato musicale vicino alle radici classiche americane, ma anche sempre un po’ a lato, mai adagiato sui luoghi comuni. Del resto, già la scrittura stessa di Terry Lee Hale, quando evoca altri autori, lo fa solo con pezzi da novanta: il talking con cui il disco si apre potrebbe ricordare l’attonito srotolare narrativo di un Bill Callahan; il bellissimo testo di Reminiscent trova posto tra le maglie di un blues waitsiano, cosa che accade, in maniera ancora maggiore con The Lowdown, un brano che pare uscito dritto dritto da Mule Variations; Acorns, invece, fa pensare a un Lou Reed in versione Americana.
Prendetele come suggestioni, perché Terry Lee Hale ha personalità da vendere e non è secondo a nessuno: oltre ai pezzi citati lo dimostrano una folk song ariosa e dolcemente ritmata come Can’t Get Back (Just Like That); una oscura quanto stupenda Scientific Rendezvous, con plumbei tocchi di piano, un synth inquietante, le carezze tristi di una lap steel; i contrappunti di clarinetto e melodica di Signed Blue Angel; il tono fatalista di Jawbone.
Terry Lee Hale è in tour in Italia proprio in questi giorni. Se riuscite, andate a vederlo. In caso contrario rimangono le canzoni di Bound, Chained, Fettered da fare vostre. Questo è senza dubbio il nostro consiglio.