Foto © Rodolfo Sassano

In Concert

The National live a Sesto San Giovanni (MI), 2/6/2024

Durante il pomertiggio mi trovo alla Pirelli HangarBicocca a vedere le due mostre attualmente in programma – “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” di Chiara Camoni e “Ground Break” di Nari Ward, entrambe stupende e consigliatissime – ed è dalle sue vetrate che vedo il cielo farsi sempre più nero, per poi esplodere nell’ennesimo temporale e in una pioggia battente che pare non voler accennare a smettere. Il pensiero corre al concerto che la sera stessa dovrebbero tenere i National al vicino Carroponte di Sesto San Giovanni e la preoccupazione che possa essere annullato si fa strada pericolosamente nella mente.

Per fortuna, però, sia pur senza diradarsi, le nuvole concedono una tregua, l’acqua smette di scendere e il massimo che il pubblico deve subire è il doversi districare tra qualche pozzanghera e un po’ d’inevitabile, ma tollerabilissimo fango. Bene, perché sarebbe stato davvero un peccato perdersi il concerto della band dell’Ohio, che da Milano mancava dal 2018, cioé da quando passarono per Milano Rocks, festival allestito in quella che fu la zona Expo. Più consona a una band del loro calibro appare una location come questa, non piccola, ma neppure dispersiva come quella, in linea con le situazioni dei loro ultimi passaggi italiani fatti in questi anni, all’Ypsigrock in Sicilia o a La Prima Estate di Lido di Camaiore. 

Soprattutto in linea con quella che è la musica della band, un rock d’autore adulto e pulsante, non privo di sofisticate inflessioni pop, spesso intimo e avvolgente, che nell’abbraccio altrettanto intimo col suo pubblico trova la sua collocazione ideale. Ormai impossibili da vedere in luoghi autenticamente raccolti, una location come questa appare degnissimo compromesso, posto dove poter godere al meglio della loro performance.

In passato avevo avuto modo di vederli diverse volte i National, senza rimanerne mai soddisfatto al 100%. Ricordo di un concerto con un Matt Berninger svogliato e se devo dirla tutta progressivamente sempre più ubriaco o di situazioni in cui la raffinatezza della loro proposta stentava a tramutarsi in qualcosa di autenticamente coinvolgente una volta trasposta sul palco, lasciando trasparire più professionalità che autentica emozione. Non che non mi fossero piaciuti le volte precedenti, intendiamoci, ma è come se ci fosse stato sempre un “però” a smorzare l’entusiasmo. Ecco, dico questo perché stavolta si è trattato di tutta un’altra storia. Stavolta i National hanno fatto un concerto assolutamente pazzesco, per chi scrive addirittura inaspettato.

Che la band sia presa benissimo, in effetti, lo si capisce fin da quando sale sul palco ballando, mentre le casse sparano a tutto volume Slippery People dei Talking Heads, e Berninger finisce ancor prima di cominciare tra le prime file del pubblico, che lo accoglie col più sincero affetto. Con i loro dischi più celebri e celebrati usciti tra la metà dei 2000 e l’inizio degli anni Dieci, i National nell’ultimo decennio hanno continuato a sfornare lavori sempre interessanti, capaci di cercare nuove sfumature e di lavorare su un suono che, nelle sue linee essenziali, è comunque ormai ampiamente riconoscibile e consolidato. I due album usciti a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro nel 2023, accolti da alcuni come una riproposizione riuscita, ma un po’ manierista dei loro topos più tipici, hanno messo piuttosto in luce una rinnovata energia, la capacità di uscire dalle secche di una mancanza d’ispirazione temporanea che li aveva quasi portati sull’orlo dello scioglimento e che oggi si traduce in concerti di iccomensurabile potenza e vigore, facendoli risultare una rock’n’roll band vibrante e chitarristica, in un modo nel quale probabilmente non erano mai stati.

Berninger magari è cantante dall’estensione limitata e non sempre precisissimo, ma ha dalla sua carisma e personalità; soprattutto sul palco è frontman realmente efficace, sia nelle movenze, che nel suo saper dialogare e interagire costantemente col pubblico, spesso, come dicevamo, letteralmente abbracciato calandosi tra di esso. Se devo però dire chi in questa serata mi ha proprio stracciato l’anima e fatto correre brividi lungo la schiena, allora inevitabilmente devo citare i due gemelli Aaron e Bryce Dessner, chitarristi superlativi in ogni occasione, i cui strumenti stavolta sono stati centrali e svettanti su tutto, tra riff, assoli, sventagliate elettriche dirette verso il cielo, code strumentali e allunghi distorti. Una potenza di fuoco che, come dicevo prima, era per me del tutto inaspettata, e che ha finito per permeare il tutto. Forse qualche sintomo in alcuni episodi degli ultimi due dischi lo si poteva anche trovare, ad esempio in Smoke Detector stasera diventata però addirittura devastante, o in una Space Invader qui in crescendo rumoristico.

Potendo contare su una sezione ritmica clamorosa e probabilmente non sufficientemente celebrata, quella formata dal bassista Scott Devendorf e soprattutto da quella forza della natura che è il fratello Bryan alla batteria, oltre che sul contributo a fiati, tastiere ed elettronica dei tour members Ban Lanz e Kyle Resnick, bravi a riempire ulteriormente gli spazi (anche se devo dire che all’inizio i fiati non è che si sentissero granché), è facile immaginare quanto il sound dei National sia risultato nell’insieme non solo superlativo e pungente, ma anche molto emozionante.

Merito inoltre di una scaletta come sempre non ostaggio dei classici, ma perfettamente equilibrata tra episodi vecchi e nuovi, in alcuni casi addirittura vecchissimi, come l’incredibile ripescaggio di una rara Cherry Tree da brividi, tra le chicche della serata, o di una Abel in arrivo da Alligator resa una botta d’energia inaudita da un trattamento al fulmicotone.

In qualche modo andrebbero citati un po’ tutti i ventisei brani suonati in quasi due ore e venti di show, ma ci limiteremo a segnalare almeno le sempre fantastiche Bloodbuzz Ohio e Fake Empire, una Mr November dedicata a supporto di Joe Biden (forse più in senso d’avversione a Trump, mandato esplicitamente a quel paese in più di un’occasione), una Laugh Track magica anche senza la voce di Phoebe Bridgers, una commuovente Pink Rabbits o pezzi travolgenti come Graceless  e About Today.

Come sottolineato da uno dei gemelli Dessner, i National, anche per via del fatto che la loro sorella ha sposato un italiano e in Italia vive, dalle nostre parti si sentono come se fossero a casa, e a casa loro hanno fatto sentire noi tra le loro canzoni. Da questo punto di vista, inevitabile l’approdo, consueto ma sempre carico d’emozione, con una Vanderlyle Crybaby Geeks suonata in acustico e cantata da tutto il pubblico sotto la direzione di Matt. Grandiosi.

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