Recensioni

Verdena, Endkadenz Vol. 1

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Endkadenz Vol. 1
Universal

Sembra incredibile, a pensarci, che i Verdena siano in giro ormai da vent’anni. Il tempo passa in fretta e questa è una cosa con cui, ciascuno a modo proprio, deve fare i conti. Considerazioni spicce a parte, in questi vent’anni ne ha fatta di strada il trio bergamasco: considerati all’inizio come la versione italiana dei Nirvana e gli esponenti di punta di un’idea di grunge e alt-rock tricolore, col tempo hanno reso sempre più complessa e stratificata la loro idea musicale, inserendovi elementi di psichedelia, shoegaze, prog, pop. Mantenendo quell’atteggiamento schivo che è forse tipico delle loro terre, hanno sempre compiuto scelte musicalmente coraggiose che, in alcuni casi, avrebbe anche potuto alienargli i favori di un pubblico adorante – cosa che non è successa, sono tra le poche vere star del rock italiano, questo è fuor di dubbio – non rimanendo mai fermi e, anzi, rilanciando di volta in volta con qualcosa di più ambizioso o comunque foriero di novità. Il nuovo Endkadenz non fa eccezione. Se il precedente Wow – uno degli snodi più importanti nella loro carriera – usciva come doppio album, quest’ultimo viene pubblicato in due volumi distinti: il primo ora, il secondo più avanti nel corso del 2015, in una data ancora da destinarsi. Messi a punto nel loro studio personale, i due volumi di Endkadenz sono il frutto di session in cui Alberto e Luca Ferrari e Roberta Sammarelli hanno trovato, per lora stessa ammissione, un’intesa speciale che ha fruttato una mole enorme di materiale, impossibile da gestire con una sola uscita. Il titolo deriva da un’annotazione che il compositore contemporaneo Mauricio Kagel metteva sempre nei suoi spartiti: per lui, ogni sua opera doveva finire col timpanista che, dato l’ultimo colpo, doveva sfondare con la testa la pelle del tamburo, tuffandovisi letteralmente dentro per poi rimanere all’interno per 10 minuti. Allo stesso modo, questo disco richiede un’immersione di pancia tra i suoi suoni, un abbandono alle sue vibrazioni forse mai così cangianti e caleidoscopiche. Pur palesandosi quale continuazione di Wow, le nuove canzoni – quantomeno quelle di questo primo volume – appaiono in linea di massima più dirette, con un ritorno all’uso massiccio di suoni saturi e distorti, con una variegata alternanza di pezzi duri e ballate visionarie. Allo stesso tempo, è come se venisse fuori una maturità compositiva ed una complessiva coscienza dei propri mezzi, credo mai così evidente come oggi. In questo melange d’istinto e consapevolezza, a rifulgere sono proprio le canzoni, a partire da un fluttuante pezzo dalle tinte psichedeliche e dai distorti riff a là Motorpsycho come l’ottima Ho Una Fissa, messa in apertura. Puzzle è una bellissima ballata, costruita attorno al piano e con una bella sottolineatura di tastiere; Un Po’ Esageri è nettamente (power) pop, con la sua melodia in primo piano e un bel lavoro sui suoni; meno convincente Sci Desertico, dai suoni tutti filtrati, un mood electro-soul, per i miei gusti un po’ troppo esangue; meglio allora una ballata indie acustica come Nevischio, oppure le saturazioni grunge/psichedeliche, degne degli Smashing Pumpkins di Mellon Collie, di Rilievo. La seconda parte del disco si muove continuando ad ondeggiare fra pezzi duri e potenti (Derek, la lenta e lirica Inno Del Perdersi), ballate estatiche, a volte dalle inflessioni prog (Diluvio, Vivere Di Conseguenza, Alieni Fra Noi), brani contrassegnati dalla melodia pop (Contro La Ragione, punteggiata da archi e fiati, forse sintetici) e da una canzone in cui si fanno largo evidenti sfumature soul (la conclusiva Funeralus). Continuano ad essere brillanti e creativi i Verdena. In attesa del secondo volume, l’appuntamento è ora con i loro imminenti spettacoli live.

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