Foto: Lino Brunetti

In Concert

Marissa Nadler live a Milano, 21/12/2016

È passata diverse volte dall’Italia Marissa Nadler, tanto da che si è potuto seguire anche attraverso i concerti che ha tenuto qui da noi, l’evoluzione che, un po’ alla volta, ha subito la sua musica. La prima esibizione di cui ho memoria è di quasi una decina di anni fa, nel vecchio Biko, all’epoca un piccolo bar in zona Porta Garibaldi, una parte di Milano che oggi ha un aspetto del tutto differente. La Nadler aveva pubblicato solo i primi due dischi ed era sostanzialmente una cantautrice voce e chitarra, inserita nel calderone nu-folk dell’epoca. Si distingueva per un approccio onirico e psichedelico, aiutata da una voce dolce come miele e particolarmente adatta a tratteggiare una musica ammaliante come poche.

Con gli anni, i suoi dischi si sono fatti carico di aggiungere nuove sfumature, trasformando la componente folk in uno degli elementi del suo fare musica. Un paio d’anni fa, all’Ohibò, si era presentata accompagnata da una violoncellista, ma è solo stavolta, nell’ultima data europea di supporto al suo ultimo, ottimo album, Strangers, che abbiamo potuto vederla finalmente accompagnata da una band. Una band, tra l’altro, che dice parecchio del territorio di confine su quale si situa la sua musica, ritenuta sommariamente quieta e gentile, ma in realtà covante un che di conturbante, oscuro, tanto da renderla interessante anche per un pubblico apparente distantissimo: con lei, ovviamente a voce e chitarra elettrica (6 e 12 corde), in questa serata, nella bella cornice del Santeria Social Club, c’erano infatti il chitarrista dei Master Musicians Of Bukkake Milky Burgess, il bassista degli Earth Don McGreevy  e il batterista/tastierista Steven Nistor, uno che ha suonato in miriadi di dischi, da Daniel Lanois agli Avett Brothers, fino a Emmylou Harris.

Una band d’ascendenza tutt’altro che folk, solida e precisa che, senza strafare, ha servito al meglio le canzoni della Nadler, stavolta poste attraverso un sound ipnotico ed avvolgente, elettrico sia quando a guadagnarsi il proscenio sono state ballate lisergiche venate di tristezza, sia quando i toni sono saliti fino a lambire i territori di uno psych-rock senza dubbio mai realmente concitato, eppure, come dicevamo, dalle drappeggiature dark, doom volendo esagerare, sul filo di un immaginario confine nel quale il sogno rischia di diventare un bad trip.

La parte del leone l’hanno ovviamente fatta i brani degli ultimi due album: all’inizio hanno spadroneggiato i toni soffusi di pezzi quali We Are Coming DownDriveDead City EmilyI’ve Got Your Name, tutti tratti dall’ottimo July, per poi scivolare in quel mondo ovattato ma inquieto dei pezzi di Strangers, brani in cui far confluire canzone d’autore, folk, country e dream pop oscuro quali la stessa title-trackHungry Is The Ghost, la bellissima All The Colours Of The Dark. A metà show arriva inaspettata una visionaria cover – tra l’altro riuscitissima – di Cortez The Killer di Neil Young, più avanti raggiunta pure dalla sabbathiana Solitude.

Oltre che una cantante personale e subito riconoscibile, la Nadler è molto efficace anche alla chitarra, sia negli arpeggi, che quando prende qualche sporadico assolo. A volte non pare essere del tutto a suo agio con le dinamiche di una band, pare un po’ inquieta, ma probabilmente è dovuto a qualche piccolo problemino tecnico. Come personaggio comunque intriga, stando sempre sul confine tra cose che appaiono distantissime tra loro, in bilico tra timidezza e  un’immagine da dark lady sottolineata dalle luci bassissime e dal lungo e scollato abito da sera con cui si è presentata sul palco.

Sul finale si concede qualche pezzo del vecchissimo repertorio, tanto che il commiato, nell’unico encore, arriva con la vecchissima Fifty Five Falls, il pezzo che apriva il suo primo album, Ballads Of Living And Dying, sulla quale Burgess spande affilate incursioni di lap steel.

In apertura di serata, prima della Nadler, c’era stato anche un breve set della cantautrice texana, di Austin, Jess Williamson, perfetta come introduzione, viste le sue canzoni folk torturate ed assolutamente spettrali, per il sottoscritto piuttosto fascinose. Non proprio dallo spirito natalizio, ma gran bella serata.

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