Recensioni

Mountain Man, Magic Ship

a3268020277_10MOUNTAIN MAN
MAGIC SHIP
BELLA UNION
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Come dimostra la miriade di gruppi meteora che riempie le note a margine della storia della musica contemporanea, per quanto romantica possa sembrare l’idea di una band al debutto, spesso la combinazione delle pressioni, delle insidie e degli incerti previsti dal music business insieme alla difficile gestione di tutti i sogni, le speranze e le fantasie che accompagnano la giovinezza, possono rivelarsi fatali per qualsiasi progetto, infrangendo in un lampo entusiasmi, rapporti e amicizie magari sbocciate fin dai tempi della scuola, come quella che lega Amelia Meath, Molly Erin Sarlé e AlexandraSauser-Monnig, in arte Mountain Man.

In tempi in cui domina la tendenza alla sovraesposizione, gli otto anni intercorsi tra l’esordio Made The Harbor e il nuovo Magic Ship potevano far supporre che anche le giovani fanciulle statunitensi avessero precocemente gettato la spugna, seguendo ognuna la propria strada tra le colline del Nord Carolina, in un monastero della California o in una fattoria del Minnesota. Al contrario, nonostante le distanze che in America non sono mai relative, le ragazze si tengono in contatto e nel corso degli anni rinsaldano i rapporti prematuramente evaporati fino al momento in cui decidono che quella prima esperienza capace di raccogliere encomi sulle pagine di The Guardian, New York Times e Pitchfork, avrebbe meritato un’altra possibilità.

Al principio l’idea è di intraprendere un viaggio insieme attraverso gli Stati Uniti, ma non ci vuole molto perchè ricomincino a cantare, riscoprendo la sintonia e l’eccitazione del passato sul palco dell’edizione dello scorso anno dell’Eaux Claires Festival in Wisconsin. Qualche mese dopo le Mountain Man sono di nuovo in studio provando vocalizzi e melodiosi contrappunti di un repertorio tutto nuovo creato dalle armonizzazioni di tre voci incantevoli e dagli sporadici arpeggi di una chitarra acustica, come se la Carter Family fosse la rock’n’roll band più cool del mondo.

Bucolico, spoglio, intimo ed intrinsecamente lo-fi, Magic Ship è l’epitome del less is more con 14 tracce sospese tra folk, country e gospel, che evocano il fascino dei canti arcaici che si levavano dai campi di lavoro o degli inni che accompagnavano le funzioni religiose all’inizio del secolo scorso. Quello che cantano le Mountain Man è l’idillio dell’America perduta delle incisioni sul campo di Alan Lomax: un’immaginario dolce e affascinante che oggi come allora prova a diradare il buio dei tempi che corrono. Affatto nostalgico, Magic Ship è pervaso da un ingenuo senso di innocenza e da una fragrante freschezza, che diventano contagiose quando partono basiche ballate come la sognante Moon, pastorali filastrocche come AGT, elegiache corali come Rang Tang Ring Toon, la polverosa cover di Michael Hurley Blue Mountain, il celestiale gospel del traditional Bright Morning Star o la deliziosa Stella, che pare quasi evocare un’antico canto africano. C’è di sicuro della poesia nelle parche strofe e nelle nude melodie di Magic Ship, mentre la magia sta tutta nel modo in cui le Mountain Man riescono a tirare fuori così tante emozioni con un impiego tanto minimo di risorse.

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