Foto © Lino Brunetti

In Concert

Yard Act live a Milano, 14/4/2024

Arrivati all’esordio con l’ottimo The Overload quando la nuova scena post punk aveva già avuto modo di mettere sul tavolo i propri assi, gli Yard Act, da Leeds, erano riusciti comunque a farsi notare per una proposta che coniugava freschezza, testi superiori alla media, canzoni pungenti e show divertenti e dinamici. Fossero rimasti fermi lì, forse l’hype che li sta rendendo protagonisti tra le nuove rock band inglesi non ci sarebbe stato, ma col nuovo Where’s My Utopia?, i ragazzi sono riusciti a dare alla loro musica una nuova spinta, portandoli a rimescolare le carte, andare oltre quello che poteva rivelarsi la riproposizione di un cliché post punk, per farli approdare in un territorio decisamente più stuzzicante e originale, un territorio nel quale si mescolano hip hop e punk funk, pop e indie rock, tantissimo groove e qualche reminiscenza del Beck migliore, il tutto centrifugato in canzoni esaltanti che non danno tregua.

La cosa gli ha fatto bene, anche a livello di ricezione di pubblico, tanto che è vero che entrambi gli show previsti in Italia, a Bologna e Milano, sono andati sold out, cosa forse non scontatissima fino a qualche tempo fa. Ad aprire la serata, in un Santeria Toscana 31 dalla temperatura già rovente ancor prima dell’arrivo di tutto il pubblico – siamo ad aprile, ma sembra già estate – c’è il singer songwriter Murkage Dave. Solo sul palco, accompagnato da un registratore a cassette, presentato come la sua band, da cui fa partire le basi, Dave è autore di una sorta di neo soul elettronico intimista, nel quale si sentono vaghe inflessioni reggae, più che altro nel suo modo di cantare. Non male, ma neppure così esaltante senza una band alle spalle o almeno un chitarrista, visto che lo strumento nei suoi pezzi si sente eccome. Ok che andare in tour costa ormai un casino, ma mi chiedo il senso di queste performance karaoke nelle quali ormai ci s’imbatte sempre più spesso, che non mi pare lascino chissà quale segno.

Per fortuna la faccenda è del tutto diversa quando sono gli Yard Act a salire sul palco, i quali, anzi, sono qui in versione allargata, con il quartetto standardJames Smith (voce), Sam Shipstone (chitarra), Ryan Needham (basso) e Jay Russell (batteria) – accresciuto dall’ingresso di Christopher Duffin a tastiere, sax e postazione da DJ, e di due coriste, anche alle percussioni, Lauren Fitzpatrick e Daisy Smith. Proprio gli ospiti non sono un elemento accessorio, perché se Duffin concorre a riempire il suono, rendendolo più spesso e stratificato, anche quando all’apparenza scompare nel magma generale, le due ragazze non solo ci mettono la voce, ma con balletti, scenette e, a tratti, anche un pizzico di divertita follia, concorrono a fare del concerto uno spettacolo decisamente scoppiettante e spassoso.

Al resto ci pensano i pezzi, che sia quelli del primo che quelli del secondo album, in sede live diventano più potenti e rock. Smith rimane un frontman parecchio efficace e coinvolgente, sia quando canta che quando lascia fluire il suo flow rappato, oltre che muovendosi come un ossesso, mentre un chitarrista quale Shipstone, pur senza essere tecnicamente un mostro, è uno di quelli che sa come tirare fuori dallo strumento fraseggiature e riff sempre interessanti, molto spesso tutt’altro che ovvi. In una musica così groovata poi, chiaro che la sezione ritmica deve darci dentro di brutto, e Needham e Russell, in questo senso, non scherzano affatto, dimostrando sia potenza che il giusto grado di fantasia e precisione.

L’intero show si profila con un attacco di killer tunes che non lasciano scampo e in cui, di fatto, non esistono vere pause. Pezzi come Dead Horse, Pour Another, We Make Hits, una Dark Days scelta da una ragazza del pubblico invitata a far girare una sorta di ruota della fortuna, si susseguono mostrando tutta la crescita della band e la loro capacità di far scatenare un pubblico letteralmente entusiasta.

Figurarsi quando poi, nel finale, arrivano pezzi come Payday o The Overload, o quando nel bis chiudono il tutto con una lunghissima, rumorosa e caotica Trench Coat Museum, con tutti scatenati e persino Murkage Dave, tornato sul palco, a partecipare alla festa che, in qualche modo, si vorrebbe non finisse mai. Grandiosi!

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