Recensioni

Primus, The Desaturating Seven

primus-the-desaturating-seven-album-artworkPRIMUS
The Desaturating Seven
ATO Records
***

Per il loro ritorno in pista con un nuovo album d’inediti – a sei anni dall’ultima volta, ma in mezzo c’è stata la rilettura delle musiche de “La fabbrica di cioccolato” – i Primus trovano ispirazione in un libro per bambini degli anni ’70, “The Rainbow Goblins” di Ul De Rico, nel quale si racconta di sette goblin affamati di colori, il cui intento è quello di eliminarli tutti dal mondo. Così lo stesso Les Claypool ha raccontato cosa lo avesse affascinato di quel libro: “L’immaginario oscuro e le bellissime illustrazioni mi hanno colpito subito perché ho pensato che fosse dell’ottimo materiale per un album. L’uso dei colori e dell’oscurità nella stesura del testo era convincente e ora, anni dopo, la metafora dell’avidità, della voracità e dell’inganno contro l’unità delle masse è misteriosamente importante”.

Un disco a suo modo politico? Se lo è, lo è ovviamente nel bizzarro, trasfigurato e metaforico modo a cui i Primus ci hanno abituato in oltre vent’anni di carriera. È il trio storico, quello che oltre a Claypool (basso e voce), vede presenti la chitarra di Larry LaLonde e la batteria di Tim Alexander, quello che ha approntato queste sette nuove canzoni, una formazione che non vedevamo in azione in un disco di inediti dai tempi di Tales From The Punchbowl (1995), ma che già si era riunita per il citato The Chocolate Factory.

Come quest’ultimo, anche The Desaturating Seven racconta una storia e si profila pertanto, come abbiamo accennato, quale vero e proprio concept album. Lo s’intuisce intanto dalla sua struttura circolare, con lo stesso tema (ribaltato) ad aprire e chiudere il disco (The Valley, intro acustico e poi circospetta e minacciosa nel raccontare l’arrivo dei goblins nella Valle dell’Arcobaleno; e The Ends? che ne riprende il tema, suggellando il tutto con lo stesso arpeggio acustico con cui tutto era partito). Ma lo si capisce anche dal suo essere molto più un disco di suoni e atmosfere, che non di vere e proprie canzoni. Il suo meglio, insomma, lo dà in quanto opera unitaria, più che nella singolarità dei vari episodi.

Primusiano al 100% – il che lo rende ovviamente godibilissimo per tutti i fan della formazione – ma poco propenso a scandagliare nuove strade del loro sound, The Desaturating Seven si palesa attraverso la melodia cartoonesca sui loro tipici incastri strumentali di The Seven; le dilatazioni psych-prog, mai così pinkfloydiane, della lunga The Trek; le invenzioni chitarristiche di un sempre grande LaLonde nell’ottima The Scheme; l’onirica ed allucinata psichedelia mediorientaleggiante della liquida ed insolita The Dream; la concitata cavalcata ondivaga The Storm, tutte unite nel dar forma ad un unitario, mesmerico trip. Nessuna grossa sorpresa, ma la loro classe e unicità rimangono intatte.

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