Recensioni

AA. VV., The Atlantic Records Story – Volume One, 1950-1956

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The Atlantic Records Story – Volume One, 1950-1956
4CD, Real Gone
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Fondata nell’autunno del 1947 dal turco Ahmet Ertegün e da Herb Abramson, ebreo di Brooklyn con studi da dentista, allorché il primo, desideroso di restare negli Stati Uniti anche dopo la morte del padre (ambasciatore della Turchia in America), convinse l’odontoiatra di famiglia a prestargli 10’000 dollari e a lasciare il secondo, allora un semplice discente, libero di dargli una mano, la Atlantic Records nacque in un piccolo ufficio di Manhattan grazie alla volontà dei due soci appena citati e della loro prima segretaria, l’inflessibile Francine Wakschal, collaboratrice della compagnia per i successivi 49 anni.

Se all’inizio il repertorio dell’etichetta si compose dei nomi già conosciuti da Abramson in veste di A&R della scuderia jazz National Records, in breve tempo la Atlantic, consolidata dall’ingresso di produttori quali Tom Dowd, Jerry Wexler, Phil Spector e Nesuhi Ertegün, il fratello più grande di Ahmet, e dal lavoro di compositori del calibro di Jerry Leiber e Mike Stoller, avrebbe stretto un accordo di distribuzione con la Stax, altra realtà discografica di Memphis, Tennessee, destinata a diventare sinonimo della migliore musica soul dei ’60, e ancora, una volta acquisita dal colosso Warner Bros., sarebbe diventata una delle protagoniste degli anni ’70 siglando contratti con Led Zeppelin, Bad Company, Yes, Foreigner, AC/DC, Genesis, CSNY etc.

L’incredibile assortimento di canzoni immortali collezionato in casa Atlantic è già stato celebrato tramite diversi cofanetti, dall’ormai mitico Atlantic Rhythm And Blues 1947-1974 (raccolta di 14 LP pubblicata nel 1985) al più recente, generalista e assai lussuoso Time Capsule (9 CD, 1 DVD e un sette pollici risalenti al 2009), ma va salutata con piacere l’occasione, offerta dalla britannica Real Gone (label specializzata in ristampe antologiche, da non confondersi con l’omonima etichetta americana), di offrire anche ai meno abbienti un tuffo negli stessi forzieri: The Atlantic Records Story, primo volume di una serie equivalente a quelle dedicate anche a Mercury e Stax, propone cento brani licenziati dall’azienda tra il 1950 e il 1956 (quando Abramson, tornato dal servizio militare, iniziò a concepire l’idea, messa in pratica due anni dopo, di lasciare la ditta) al costo irrisorio di una dozzina di euro.

Si apre con il pianoforte caraibico e trascinante del grande Professor Longhair, alle prese con il suo pezzo più celebre, Mardi Gras In New Orleans, e con una delle impagabili apologie di sbronze e bevute formulate in chiave jump-blues da “Sticks” McGhee (Drank Up All The Wine Last Night, in pratica una rielaborazione della più nota Drinkin’ Wine Spo-Dee-O-Dee) e si chiude con il rock-blues della chicagoana Lavern Baker (Jim Dandy) e il soffice gospel di Clyde McPhatter, ugola di velluto su Without Love (There Is Nothing). In mezzo ci sono il pop-rock a tinte blues di Big Joe Turner, uno degli inventori del boogie woogie, il sofisticato doo-wop dei Clovers, da Washington, lo stroll danzereccio di Chuck Willis, le serenate in forma di musical dei Drifters di Ben E. King e, soprattutto, il colossale Ray Charles di capolavori come I Got A Woman, This Little Girl Of Mine o Lonely Avenue (quest’ultima scritta da Doc Pomus), primi e più fulgidi esempi del suono di una civiltà metropolitana che andava creandosi un’identità secolarizzando (o rendendo profane, a seconda dei punti di vista) le sonorità degli inni sacri.

Forse superfluo per i completisti di professione, The Atlantic Records Story – Volume One, 1950-1956 è tuttavia obbligatorio per chiunque intenda approfondire, spendendo il giusto, una delle tappe cruciali della musica americana nel suo insieme.

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