Foto © Alejandro Menendez Gli ultimi anni sono stati una vera ecatombe per quanto riguarda i protagonisti della «nostra» musica, ma se la cosa è ampiamente preventivabile quando si parla di soggetti piuttosto avanti con gli anni (e che magari non si sono mai fatti mancare niente in vita), ci sono artisti la cui morte giunge oltremodo prematura. È il caso di Raul Malo, scomparso pochi giorni fa — l’otto dicembre — a soli sessant’anni per una forma di cancro al colon diagnosticatagli nel giugno 2024 e negli ultimi mesi diventata particolarmente aggressiva.
Conosciuto per essere il carismatico leader e frontman dei Mavericks, Malo aveva saputo fondere le influenze «classiche» — Hank Williams, Elvis Presley, Johnny Cash etc. — con le sue radici latine (era nato a Miami da esuli cubani), condendo il tutto con un’eccellente capacità nel songwriting e soprattutto padroneggiando una delle migliori voci in circolazione, al tempo stesso melodiosa e potente, tanto da scomodare più volte (non a torto) il grande Roy Orbison come pietra di paragone.
Formati i Mavericks, sul finire degli Ottanta, insieme all’amico e bassista Robert Reynolds (al quale si aggiungono Paul Deakin e Ben Peeler), Malo inizia a far sentire la sua ugola nel debutto The Mavericks del 1990, con il gruppo che viene inserito tra le novità più interessanti del filone new country, per intenderci quello di cui Dwight Yoakam viene reputato esponente di punta. Già con il seguente From Hell to Paradise, i nostri iniziano a ritagliarsi una nicchia tutta loro, introducendo nel suono elementi di diversa provenienza (come certe influenze latineggianti attribuibili alle origini di Raul, vedasi il caso della splendida ballata che intitola il disco, dal vivo suonata in medley con l’evergreen cubano Guantanamera).
Malo e compagni, album dopo album, aumentano notevolmente la fanbase, ma senza svendersi, anzi proponendo una musica sempre più variegata e stimolante. Dischi come What a Crying Shame, Music for All Occasions (titolo che riassume alla perfezione la filosofia della band) e Trampoline sono quanto di meglio il genere Americana abbia prodotto in quegli anni, con brani scintillanti di puro country come There Goes My Heart, What a Crying Shame, Just a Memory, O What a Thrill (cover di Jesse Winchester) e Here Comes the Rain, limpide ballate orbisoniane (I Should Have Been True è una meraviglia) ma anche deviazioni nell’easy listening di classe come la rilettura, insieme a Trisha Yearwood, della Somethin’ Stupid di Frank e Nancy Sinatra e soprattutto irresistibili guizzi di matrice ispanica del calibro di All You Ever Do Is Bring Me Down, scatenato tex-mex con la fisa di Flaco Jiménez, e il coinvolgente pop-rock latino Dance the Night Away.
La fatica di rimanere al top e l’intensa attività dal vivo ha però un effetto devastante, in termini di stress, su Malo e soci. Decidono quindi di separarsi, in amicizia, sul finire degli anni Novanta: Raul inizia un percorso solista che negli anni diventerà una vera e propria carriera parallela, pubblicando lavori ottimi come Today, l’esordio del 2001, e Lucky One (otto anni dopo) e altri un po’ più di maniera, in cui gioca a fare il cantante confidenziale (After Hours) o composti esclusivamente di brani strumentali (Say Less, piacevole ma in un disco di Malo sarebbe preferibile ascoltare la sua voce).
Nello stesso periodo, contribuisce ai tre deliziosi album del supergruppo rock American-latino Los Super Seven e soprattutto riforma il suo combo principale nel 2003, mettendo in commercio The Mavericks (raro caso di una band con due album dallo stesso nome), disco però involuto e poco brillante, che infatti ottiene scarso successo, convincendo il nostro a sciogliere il gruppo una seconda volta.
Molto meglio andrà con la seconda reunion, arrivata dieci anni dopo, che si rivelerà definitiva e porterà altri sette full length di pregevole fattura e con uno stile ormai ben poco country e dedicato, altresì, alla copertura di tutti i generi prediletti da Raul (la cui voce, se possibile, si rivelerà ancora migliorata). I fasti dei Nineties sono lontani, ma titoli come Brand New Day, Mono, lo squisito cover album Play the Hits e l’imperdibile En Español si pongono dignitosamente tra i lavori più riusciti di un gruppo il cui leader aveva ancora parecchio da dare al mondo della musica.
Volendo parafrasare il titolo del secondo LP dei Mavericks, From Hell to Paradise, non sappiamo se Raul Malo fosse mai stato all’inferno, ma ci sono ben pochi dubbi su dove uno con quella voce si trovi in questo momento.